Giufa
Giuseppe, padre.
Cent’anni fa, esattamente il
31ottobre, nasceva in Monselice di Padova Giuseppe mio padre. Il 31 ottobre
2016, sempre in Monselice (seguiranno dettagli), sarà inaugurata una retrospettiva pittorica di
Giuseppe, in arte Giufa[1]. L’allestimento sarà composto da ciò che rimane in possesso
della mia famiglia, dipinti a olio, acquarelli, qualche opera in bronzo e tante
“vignette” satiriche talune pubblicate altre no. Le vignette hanno come
bersaglio, di preferenza, gli immutabili vizi di una classe dirigente italica
repubblicana di lunga mano e corta vista, o la marcescente attività di taluni soggetti del sindacato, che in ciance e su carta parrebbero essere schierati dalla
parte del popolo che lavora, e che di fatto schierati sono, ma alle spalle del popolo, a minacciarne le terga. Giuseppe derisore di corruzione e cecità spirituale.
Giuseppe venne a Parma nell’età dell’adolescenza per riunirsi al resto del suo clan qui a sua volta giunto, probabilmente, al seguito delle romane schiere farnesiane. Giuseppe si formò come professionista e artista all’accademia d’arte Toschi di Parma e come uomo sociale e libero pensatore all’interno di un nucleo familiare molto attento all'incedere politico della società. Giuseppe deriva da un prozio albertino e un nonno garibaldino, patrioti che a vent’anni partirono come volontari. Il primo caduto sul campo (se vi interessa c’è una lapide sotto le volte del comune) e il secondo tornato vittorioso. Il fermento c'era, si andava dal mangiapreti alla suora missionaria nelle Indie o in Colombia. Voci di parenti narrano addirittura di una bottega verduraio-letteraria gestita da mie prozie tra aromi dell'orto e incontri culturali.
Giuseppe liberale e monarchico, d’animo francescano detestava i soldi in quanto accumulo di cupidigia e l’automobile vista come contenitore claustrofobico della nostra supponente impotenza muscolare e spirituale.
Giuseppe venne a Parma nell’età dell’adolescenza per riunirsi al resto del suo clan qui a sua volta giunto, probabilmente, al seguito delle romane schiere farnesiane. Giuseppe si formò come professionista e artista all’accademia d’arte Toschi di Parma e come uomo sociale e libero pensatore all’interno di un nucleo familiare molto attento all'incedere politico della società. Giuseppe deriva da un prozio albertino e un nonno garibaldino, patrioti che a vent’anni partirono come volontari. Il primo caduto sul campo (se vi interessa c’è una lapide sotto le volte del comune) e il secondo tornato vittorioso. Il fermento c'era, si andava dal mangiapreti alla suora missionaria nelle Indie o in Colombia. Voci di parenti narrano addirittura di una bottega verduraio-letteraria gestita da mie prozie tra aromi dell'orto e incontri culturali.
Umberto, nonno.
Giuseppe liberale e monarchico, d’animo francescano detestava i soldi in quanto accumulo di cupidigia e l’automobile vista come contenitore claustrofobico della nostra supponente impotenza muscolare e spirituale.
Giuseppe fu uomo di grande spessore e
probabilmente anche un bravissimo padre, ma come esige il copione della
tragedia umana, io ebbi un rapporto conflittuale con questo uomo dalle mille
risorse e non riuscimmo a lasciarci avendo “aggiornato” i nostri racconti
dell’uno all’altro. Forse per questo provo una certa pena per le famiglie felici e beate al loro interno, in
primo luogo perché molte tra queste se la raccontano un poco, e quand’anche vi fosse realmente un brandello di vero, rimane sempre il cozzare con
la vita che sta fuori dal castello, e con la morte quando la pila è scarica. Quindi la mia scalcinata
e traumatizzata memoria giocherà di sorteggio al frammento, non avendo il coraggio
di mettere tutte le cosine in fila e in ordine, riservando questa attività alla
mia zona simbolico-ossessiva che si esplicita in cassetti chiusi o al rincorrere le luci
accese per non parlare delle universali righe divisorie delle piastrelle. Quindi comporrò
questo dovuto ricordo coi racconti che qui seguono, ripromettendomi di
aggiornare lo scritto ogni qualvolta mi erutterà una rimembranza. Senza ordine
né logico né cronologico. A buon leggere.
L'uomo nel faro
...Giuseppe era anche chiamato, dai miei amichetti, Guardiano del Faro, un po' per una somiglianza con il cantautore compositore omonimo allora molto in voga, un poco per la capigliatura a vento di mare ma soprattutto per la
sua capacità di astrarsi dal mondano, più volte lo si vedeva tornare a casa con
bozzi in fronte o cappotti strappati per via di cadute disastrose in vespa e
non dovute a eccessi alcolici ma a visoni di mondi paralleli al nostro misero. Una sera fui testimone di un avvenimento
emblematico, Giuseppe a braccetto con mia sorella si sta leggendo un libro e al
tempo stesso cammina. Mia sorella ha lo sguardo fisso di fronte a sé.
Incocciano contro un albero. Entrambi gli sguardi stupiti sono rivolti
all’albero. Si scansano, dato che l’albero non ha ceduto il passo, di quel poco
necessario a riprendere il cammino, e ritornano nel loro mondo passeggero,
passeggiando...
Sior tenente
...Giuseppe, il giorno del suo funerale aveva ben
sei tra preti e frati a dire messa, ma quel che più mi rimase impresso furono i
suoi soldati e quella qualità di pianto che ho visto solo in quell’occasione. Che la comanda sior tenente...
Molto avanti
...Giuseppe disegnò il primo logo del centro macrobiotico, era in combutta, e parliamo degli anni sessanta, con quei folli alieni atterrati nella terra del maiale per riconvertire la razza mangiagosini in mangiatori di foglie e bambù. Arrivò quindi a casa nostra il primo pane di non so che, una sorta di truciolato di fieno, che ebbe vita breve. Forse il gusto nuovo era un poco eccessivo per i tempi e fu allora mi fu rivelato che, oltre agli asini, anche il pane sa volare...
Sulla scacchiera
...Giuseppe non mi parlò mai della
sua prigionia in terra tognetta, ma riportò a casa dei piccolissimi scacchi
intagliati (forse dal legno delle baracche) che emanavano un odore pungente e
talmente particolare che saprei scovarli (sono andati perduti…) ovunque si
celassero ora. Per me rimane quello il profumo della guerra. Due aneddoti mi
sovvengono, il primo molto in stile Giufà vede Giuseppe ad Atene salutare
militarmente un ufficiale d’alto grado, e forse sarebbe ancora lì nella stessa
marmorea posizione se detto ufficiale d’alto grado non avesse immediatamente
rivelato al tenentino Giuseppe d’essere un semplice portiere d’albergo. Il
secondo, rivelatomi da uno dei suoi fratelli, vede il Giuseppe pronto ad
immolarsi per la Patria, era giunto l’ordine di partire per un attacco frontale
con finale garantito all’ultimo sangue. Giuseppe era già pronto con sciabola
sguainata a guidare l’attacco quando giunge il contrordine. Non so ancora quale
degli dei io debba ringraziare per essere giunto in questo mondo diciassette
anni dopo.
Giuseppe, Grecia.
Molto avanti
...Giuseppe disegnò il primo logo del centro macrobiotico, era in combutta, e parliamo degli anni sessanta, con quei folli alieni atterrati nella terra del maiale per riconvertire la razza mangiagosini in mangiatori di foglie e bambù. Arrivò quindi a casa nostra il primo pane di non so che, una sorta di truciolato di fieno, che ebbe vita breve. Forse il gusto nuovo era un poco eccessivo per i tempi e fu allora mi fu rivelato che, oltre agli asini, anche il pane sa volare...
Sulla scacchiera
Giuseppe, prigionia.
Lupa
Nella, madre.
...Giuseppe corse appresso a quella bella donna ombrosa
che in seguito divenne mia madre la raggiunse e bloccandola a metà di via Bixio le chiese un
appuntamento. L’ombrosa tornando a casa disse al fratello di essere stata
fermata da uno strano tipo, un poco matto e decisamente bassetto. Una cugina mi confesso
che Giuseppe era un scapadòr, letteralmente
uno scappatore che nel gergo locale significa persona che tende talvolta alle sfrenatezze
gonnellate offerte dalla vita... ma la Lupa l'azzannò.
Nella, madre.
Il bisnonno (mio)
... Non amo molto la realizzazione fonetica del lemma "nonno", mi dà, a prescindere dalle condizioni di salute del protagonista, l'idea di rimbambito. Forse sarebbe meglio trasformare il termine in "grande padre" usando un francesismo un poco forzato, o ancora "padre magno", "veterano della domus" e perché non un semplice "avo". Penso che la sensibilità estrema a questo mio dilemma linguistico stia nel semplice fatto che pure io sono divenuto nonno e sto cercando di mutare, ora che il piccolo Leonida ancora non parla, la parola nonno in qualcosa d'altro. Ma non è di questo che il frammento vuol raccontare, ma del padre del mio grande padre. Personalmente non ho conosciuto nessuno dei due quindi mi atterrò a pochi brandelli di cronaca familiare giunti a me. Michele, figlio di Luigi, nacque negli anni '40 dell'ottocento e a vent'anni, sospinto probabilmente dalla eroica figura che senz'altro aleggiava in casa Fabi del fratello Luciano partito volontario per unirsi a Carlo Alberto nella Prima Guerra d'Indipendenza e morto a Novara nel '49, partì per combattere a fianco del Garibaldi Nostro sul Volturno. Da quello che so rimase un garibaldino a vita instillando nei figli un amor patrio che tuttora mi pare di scorgere nei suoi pronipoti. Guardando la fotografia di Michele mi posso immaginare un uomo arguto e combattivo: un giusto. Gli occhi due carabine pronte a far fuoco un poco sorridono un poco minacciano. Barba da addobbo guerriero, naso aquileggiante e magrezza da lavoro. Il mestiere della mia tribù era il falegname intarsiatore e anche questo permane in noi, per esempio io sono molto più avvezzo a intagliare il legno che a fare denaro o macellare del gosino e Flavio maneggia mazze seghe e coltelli da intaglio dalla tenera età di tre anni. Che dire ancora? Grazie grande grande padre.
[1]
È probabile, ma non so con
certezza, che la scelta dello pseudonimo sia collegabile a Giufà, ingenuo
protagonista di cunti siciliani, personaggio a sua volta derivato da culture
mediterranee, dalla giudaico-ispanicha fino all’islamica nella sua forma
mistica sufi, dove il protagonista è alla costante ricerca dell’essenza dell’umano
esistere, del nudo nocciolo della verità in contrapposizone alle vane apparenze.
Giuseppe era un po’ così, distaccato dalla materia amava giocare con le parole
e i colori. un giorno mia madre (di stirpe montanaro-lupesca) rimproverandolo
per il suo disprezzo verso il denaro, il più delle volte concretizzato in
portafoglio vuoto per doni a poveri e bisognosi, Giuseppe rispose indicando il
cuore e disse qui sta la mia ricchezza, e questo fu ciò che io ereditai.
Grazie. Non ho duvuto nemmeno pagare tasse di successione.